Copyright e il diritto d'autore Italiana - Informazioni,Storia e Legge

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    Copyright e il diritto d'autore Italiana - Informazioni,Storia e Legge
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    Il copyright (termine di lingua inglese che letteralmente significa diritto di copia) è l'insieme delle normative sul diritto d'autore in vigore nel mondo anglosassone e statunitense.

    Col tempo, ha assunto in Italia un significato sempre più prossimo ad indicare le "norme sul diritto d'autore vigenti in Italia", da cui in realtà il copyright differisce sotto vari aspetti.

    È solitamente abbreviato con il simbolo ©. Quando tale simbolo non è utilizzabile si riproduce con la lettera "c" posta tra parentesi: (c) o (C).


    Storia Copyright
    Le prime normative sul diritto di copia (copyright) furono emanate dalla monarchia inglese nel XVI secolo, con la volontà di operare un controllo sulle opere pubblicate nel territorio. Col diffondersi delle prime macchine automatiche per la stampa, infatti, inziò ad affermarsi una libera circolazione fra la popolazione di scritti e volumi di ogni argomento e genere. Il governo, poiché la censura era all'epoca una funzione amministrativa legittima come la gestione della sicurezza pubblica, percepì il bisogno di controllare ed autorizzare la libera circolazione delle opinioni.[1] Venne perciò fondata una corporazione privata di censori - la London Company of Stationers (Corporazione dei Librai di Londra) - i cui profitti sarebbero dipesi dall'efficacia del proprio lavoro.[1]

    Agli Stationers (ovvero gli editori) furono concessi i diritti di copyright su ogni stampa, con valenza retroattiva anche per le opere pubblicate precedentemente. La concessione prevedeva il diritto esclusivo di stampa, e quello di ricercare e confiscare le stampe ed i libri non autorizzati, financo di bruciare quelli stampati illegalmente.[2] Ogni opera, per essere stampata, doveva essere registrata nel Registro della corporazione, registrazione che era effettuabile solamente dopo il vaglio del Censore della corona o la censura degli stessi editori. La corporazione degli editori esercitava funzioni di polizia privata, dedita al profitto e al controllo da parte del governo.[2]

    Ogni nuova opera veniva annotata nel registro della corporazione sotto il nome di uno dei membri della corporazione il quale ne acquisiva il “copyright”, ovvero il diritto esclusivo sugli altri editori di pubblicarla; una corte risolveva le eventuali dispute fra membri.[3] Il copyright, perciò, nasce come diritto dell'editore e non dell'autore.

    Nel successivo secolo e mezzo la corporazione dei censori inglesi generò benefici per il governo e per gli editori: per il governo, esercitando un potere di controllo sulla diffusione delle informazioni; per gli editori, traendo profitto dal proprio monopolio. Sul finire del XVII secolo, però, l'imporsi di idee liberali nella società frenò le tradizionali politiche censorie e causò la fine del monopolio degli editori.

    Temendo una liberalizzazione della stampa e la concorrenza da parte di stampatori indipendenti ed autori, gli editori fecero leva sul Parlamento. Basandosi sull'assunto che gli autori non disponessero dei mezzi per distribuire e stampare le proprie opere (attività all'epoca assai costosa e quindi riservata a pochi), mantennero i privilegi acquisiti chiedendo l'attribuzione agli autori dei diritto di proprietà sulle opere prodotte con la clausola che questa proprietà potesse essere trasferita ad altri tramite contratto.[1] Di lì in poi gli editori non avrebbero più generato profitto dalla censura sulle opere, ma dal trasferimento dei diritti firmato dagli autori, necessario per la altrimenti troppo costosa pubblicazione delle opere.[1]

    Nel 1710 venne perciò emanata la prima norma moderna sul copyright: lo Statuto di Anna (Statute of Anna).

    A partire dalla Statuto di Anna, gli autori, che fino ad allora non avevano detenuto alcun diritto di proprietà, ottennero il potere di bloccare la diffusione delle proprie opere, mentre la corporazione degli editori incrementò i profitti grazie alla cessione - sostanzialmente obbligatoria per ottenere stampa e distribuzione - da parte degli autori di vari diritti sulle opere.[3]

    Il rafforzamento successivo dei diritti d'autore su pressione delle corporazioni, generò gradualmente il declino di altre forme di sostentamento per gli autori (come il patronato, la sovvenzione, ecc.), legando e sottoponendo indissolubilmente il sostentamento dell'autore al profitto dell'editore[4]

    Nel corso dei successivi due secoli anche la Francia, la Repubblica Cisalpina, il Regno d'Italia, il Regno delle Due Sicilie e il resto d'Europa emanarono legislazioni per l'istituzione del copyright (o del diritto d'autore).

    * nel 1836, il Codice civile albertino per la Sardegna.
    * nel 1840, il 22 dicembre, il decreto di Maria Luigia, per il Ducato di Parma, Piacenza e Guastalla.
    * nel 1865, il 25 giugno, nel Regno d'Italia, con legge 2337.

    Talune con ispirazioni maggiormente illuministe e democratiche rispetto a quella anglosassone.

    Nel 1886, il 9 settembre, fu costituita l'Unione internazionale di Berna, per coordinare i rapporti in questo campo, di tutti i paesi iscritti, ancora oggi operante.

    Lo sviluppo tecnologico e l'avvento di Internet - Copyright
    Nel XX secolo, l'avvento dei riproduttori ed in particolare del computer e di internet, ha fatto venir meno uno dei cardini alla base del copyright in senso classico: ovvero il costo e la difficoltà di riprodurre e diffondere sul territorio le opere, aspetti fino ad allora gestiti dalla corporazione degli editori dietro congruo compenso o cessione dei diritti da parte degli autori. Ciò ha reso assai difficile la tutela del copyright come tradizionalmente inteso.

    Il primo episodio con eco internazionale, si è avuto a cavallo fra il XX e il XXI secolo con il cosiddetto caso Napster, uno dei primi sistemi di condivisione gratuita di file musicali, oggetto di enorme successo negli anni a cavallo del millennio. La chiusura di Napster, avvenuta nel 2002 e generata dalle denunce dagli editori che vedevano nel sistema un concorrente ai propri profitti, non ha risolto se non per breve tempo il problema. Nuovi programmi di file sharing gratuito sono sorti rimpiazzando l'originale Napster e vanificando gli scopi della chiusura. Una costante diminuzione delle vendite di cd musicali è scaturita dalla diffusione di questi sistemi e della progressiva obsolescenza della precedente tecnologia[5].

    Il file sharing (scambio e condivisione di file) di materiale protetto dal copyright, si è sviluppato e diffuso con l'imporsi delle tecnologie informatiche e del web, e in particolar modo grazie al sistema del peer-to-peer. La velocità di questa diffusione e sviluppo, ha reso difficile per il diritto industriale internazionale aggiornarsi con la medesima prontezza.

    Diritto d'autore Italiano
    Il diritto d'autore italiano, similmente a quanto avviene in ambito internazionale ed in altri ordinamenti, è quella branca dell'ordinamento giuridico italiano che disciplina l'attribuzione di un insieme di facoltà a colui che realizza un'opera dell'ingegno di carattere creativo, con l'intento di riservargli diritti morali ed economici.

    È disciplinato prevalentemente dalla Legge 22 aprile 1941, n. 633 e successive modificazioni, e dal Titolo IX del Libro Quinto del Codice Civile. Al momento della sua emanazione, la legge n. 633 era sostanzialmente conforme alla tutela minima prevista dalla Convenzione di Berna. Nel corso del tempo le sue disposizioni sono state modificate in più occasioni, in recepimento, tra l'altro, di diverse disposizioni comunitarie, oltre che in adeguamento al dettato della successiva Costituzione repubblicana, l'impianto, tuttavia, è rimasto sostanzialmente invariato.

    Articolo 70 - Diritto d'autore e Copyright
    L'art. 70 della legge sul diritto d'autore prevede il diritto di compiere il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di una qualsiasi opera per scopi di critica, di discussione e di insegnamento, «nei limiti giustificati da tali finalità e purché non costituiscano concorrenza all'utilizzazione economica dell'opera».

    La dottrina tradizionale e la giurisprudenza hanno però dato una lettura fortemente restrittiva alle utilizzazioni libere, considerato che nell'ordinamento italiano non esiste il concetto di fair use che permette la riproduzione di opere per scopi educativi o scientifici ed è, per contro, più volte rimarcata la necessità di non far concorrenza economica all'autore nell'uso delle opere.

    In seguito alla pretesa della SIAE di esigere compensi per diritto d'autore anche per l'utilizzo di opere coperte in attività didattiche, si è aperto un dibattito sull'introduzione del fair use in Italia, sulla falsariga di quello statunitense e del fair dealing di Common law. D'altro canto, il Parlamento dell'Unione Europea in sede di approvazione della direttiva sull'armonizzazione delle norme penali contro la pirateria informatica (Ipred2), aveva già sottolineato la particolarità delle esigenze didattiche o scientifiche. Quest'introduzione trova resistenza negli interpreti e nella giurisprudenza italiani, sebbene agli inizi del 2008 il governo italiano in risposta ad una interrogazione parlamentare del senatore Bulgarelli, abbia affermato che il testo dell'art. 70 debba interpretarsi in senso sostanzialmente analogo al fair use degli Stati Uniti.[7] Licenza Oltre alle libere utilizzazioni previste dall'art. 70, sono comunque utilizzabili le "licenze libere" internazionali.

    Il comma 1-bis - Diritto d'autore e Copyright

    Un criticato[8] passo verso le tutele alla didattica previste dal fair use si è ravvisato nella modifica legislativa approvata con la legge n. 2/08, il cui art. 2 ha aggiunto all'art. 70 della legge n. 633/1941 il comma 1-bis, secondo cui è consentita «la libera pubblicazione su internet, a titolo gratuito e senza scopo di lucro, di immagini e musiche a bassa risoluzione o degradate, per uso didattico o scientifico». Le critiche, in particolare, vertevano sull'ambiguità e genericità[9] del testo.

    A seguito di tale aggiunta, il giurista Guido Scorza e l'editorialista Luca Spinelli hanno promosso un'iniziativa nazionale per la sua definizione e l'introduzione di alcune ingenti liberalizzazioni nel diritto d'autore italiano[10]. L'iniziativa, sostenuta da personalità della ricerca e della politica italiana (Elio Veltri, Fiorello Cortiana, Mauro Bulgarelli, Salvatore Gaglio, Bruno Mellano ed altri), ha portato ad una proposta di decreto attuativo ai ministri per i beni e le attività culturali, della pubblica istruzione e dell'università e della ricerca.

    Durata ed ereditarietà del diritto d'autore
    La normativa sul diritto d'autore prevede una durata del copyright limitata nel tempo e variabile significativamente a seconda della categoria merceologica tutelata (medicinali, brani musicali, software, ecc.).

    Il periodo di copyright dovrebbe consentire di avere un adeguato margine di guadagno e di recuperare i costi che precedono l'entrata in produzione e la distribuzione del prodotto. La durata, in linea di principio, è proporzionale ai costi da remunerare. Tuttavia non sempre la proporzione viene rispettata. Per esempio un brano musicale ha un durata di copyright di 70 anni, mentre per un medicinale, che ha costi di ricerca e sviluppo assai maggiori, il periodo di copertura è di 30 anni.

    Storicamente, la morte dell'autore causava l'estizione del copyright. In seguito, il diritto d'autore è passato agli eredi del soggetto e quindi la durata prevista dalla legge è prescrittiva (30/70 anni in ogni caso). È stata modificata anche la distribuzione dei margini: all'editore tocca talvolta più dell'autore, talora più del 50% (a fronte di un equo margine che per un intermediario è generalmente intorno al 20%).


    Dibattito sulle pene per la violazione del diritto d'autore


    Nelle legislazioni internazionali è frequente una tendenza all'equiparazione fra la violazione del diritto d'autore e il reato di furto.

    Esiste un dibattito non solo sull'entità delle pene che una simile equiparazione comporta, ma anche sulla reale opportunità di accomunare le due tipologie di reato. L'equiparazione al furto comporta infatti un considerevole inasprimento delle pene.

    Analogo dibattito investe il rispetto del proporzionalismo fra le pene rispetto alla gravità del reato. Il plagio, infatti, prevede pene inferiori al furto (sebbene l'utilizzo commerciale sia un'aggravante nella violazione di copyright). In sostanza, chi copia e vende opere in forma identica all'originale commette un reato punito molto più severamente del plagio, ovvero di chi apporta lievi modifiche e, cambiando il titolo, si appropria di una qualche paternità sull'opera.

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    NN COPIATE!!!!!!!!!!!!!!!!!!
     
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